Locke (di Steven Knight)

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Aspettando Godot sull’autostrada.

La frontiera del road movie nell’epoca della telefonia cellulare: l’auto si trasforma in una cabina telefonica e il visivo – solitamente dominante nel cinema – lascia il posto all’audio. Le inquadrature mirano alla sottrazione: una notte senza fine incornicia l’alternanza di primi piani (Ivan Locke alla guida – Tom Hardy), di luci sfuocate che sfrecciano intorno all’auto, di dettagli del display del cellulare in viva voce. Fine. L’assenza di ogni appeal delle immagini ci invita a focalizzare l’attenzione sui dialoghi telefonici, che rivelano tutto quello che c’è da sapere su Locke e sul suo inarrestabile andare.

Il viaggio non conduce (apparentemente) da nessuna parte. Il mondo sta ancora aspettando l’arrivo di Locke. Con lui, sul sedile posteriore, viaggia il vero movente della storia.

 

 

Medium ed esperienza

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Nel cominciare la lettura di La galassia Lumière di Francesco Casetti, annoto due primissime osservazioni:

1. un piacere sottile mi prende immediatamente quando scorro lo sguardo lungo le parole che formano la linea discorsiva di Casetti (mio professore all’Università): come osservare un paesaggio familiare, che conforta per la sua riconoscibilità, ma stupisce per la sua capacità di rivelare nuovi aspetti. È un gioco retorico; ma è solo attraverso lo stile che ci si connette con il contenuto; ed è lo stile che costruisce una scuola (di studi, di ricerche, di pensiero) – come si diceva già parlando di maestri e delle loro lezioni!

2. Casetti propone di pensare al cinema non tanto come medium (à la McLuhan), quanto come esperienza – e questo gli permette di sostenere il paradosso per cui oggi il cinema è certo radicalmente mutato (come medium tecnico), ma non è cambiato per nulla (come esperienza).

Dei media non è tanto importante l’aspetto tecnologico; il loro significato sta tutto nell’esperienza antropologica che sono in grado di attivare. Se un medium fosse esclusivamente il suo dispositivo fisico, ogni trasformazione della “macchina” provocherebbe un cambiamento di natura. Invece, “il nocciolo identitario di un medium è la maniera in cui esso mobilita i nostri sensi, la nostra riflessività e le nostre pratiche…fino a costituire una forma culturale riconoscibile in sé… Un medium è un modo di vedere, di sentire, di riflettere e di reagire, non legato necessariamente a una singola macchina, neppure quella che gli ha dato vita. È il caso appunto del cinema…”

Youth – La giovinezza (di Paolo Sorrentino)

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Visione impegnativa. Affascinante, sì certo. Ma è anche una bella fatica seguire un film in cui ogni inquadratura è un simbolo, ogni scena una metafora, ogni personaggio una tesi, ogni battuta una sentenza.

La precisa poetica di Sorrentino, per la quale la controllata messa-in-scena domina sulla realtà caotica, costruisce un film denso e rarefatto nello stesso tempo. Va preso come una sana ginnastica dell’occhio e della mente. Il difficile è levitare (come fa inaspettatamente il monaco tibetano) senza prima buttarsi dal balcone (come accade immotivatamente). Per fortuna gli strepitosi attori (veri) prevalgono sui loro personaggi (finti).

Mia Madre (di Nanni Moretti)

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Solo tre brevi osservazioni a caldo dopo la visione del bel film di Nanni Moretti:

– diverse volte i piani della narrazione scivolano tra realtà, pro-iezione, messa in scena, pre-visione, sogno, senza soluzione di continuità, provocando un bell’effetto di con-fusione tra racconto e commento;

– in realtà i film sono due (o forse tre): da una parte l’autobiografico Mia madre girato da Moretti, dall’altra il film che Margherita (Buy) sta ancora girando e che appare come un contrappunto alla lieve agonia della madre Ada (la brava Giulia Lazzarini) – si genera così un “terzo film” invisibile che nasce dal gioco dei rimandi (accentuati dalla istrionica presenza di John Turturro, attore che recita la parte di un’attore che recita…);

– la madre Ada, di cui vediamo il lento ma inesorabile declino, è una prof di latino in pensione, molto amata dagli studenti che la considerano una “seconda mamma”, capace ancora (pur respirando dalla bombola d’ossigeno) di guidare la nipote nella traduzione della “classica” versione. Vederne una metafora della buona scuola morente è certamente esagerato, ma è interessante la rappresentazione di una figura d’in-segnante che ha (in)segnato le vite dei propri allievi: sono proprio loro che infine rivelano agli stessi figli la “verità” sulla loro madre.