Medium ed esperienza

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Nel cominciare la lettura di La galassia Lumière di Francesco Casetti, annoto due primissime osservazioni:

1. un piacere sottile mi prende immediatamente quando scorro lo sguardo lungo le parole che formano la linea discorsiva di Casetti (mio professore all’Università): come osservare un paesaggio familiare, che conforta per la sua riconoscibilità, ma stupisce per la sua capacità di rivelare nuovi aspetti. È un gioco retorico; ma è solo attraverso lo stile che ci si connette con il contenuto; ed è lo stile che costruisce una scuola (di studi, di ricerche, di pensiero) – come si diceva già parlando di maestri e delle loro lezioni!

2. Casetti propone di pensare al cinema non tanto come medium (à la McLuhan), quanto come esperienza – e questo gli permette di sostenere il paradosso per cui oggi il cinema è certo radicalmente mutato (come medium tecnico), ma non è cambiato per nulla (come esperienza).

Dei media non è tanto importante l’aspetto tecnologico; il loro significato sta tutto nell’esperienza antropologica che sono in grado di attivare. Se un medium fosse esclusivamente il suo dispositivo fisico, ogni trasformazione della “macchina” provocherebbe un cambiamento di natura. Invece, “il nocciolo identitario di un medium è la maniera in cui esso mobilita i nostri sensi, la nostra riflessività e le nostre pratiche…fino a costituire una forma culturale riconoscibile in sé… Un medium è un modo di vedere, di sentire, di riflettere e di reagire, non legato necessariamente a una singola macchina, neppure quella che gli ha dato vita. È il caso appunto del cinema…”

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