Zero Dark Thirty (di Kathryn Bigelow)

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Inno alla tenacia femminile, spietata in un mondo spietato (dove anche i buoni – gli Americani – sono molto cattivi).

Un grande film che utilizza documenti e testimonianze della CIA per ricostruire dall’interno la lunga caccia a Bin Laden, fino alla notte della sua uccisione – a dieci anni dall’11 settembre -, realizzata grazie alle difficili indagini (e alle torture) dell’agente Maya (Jessica Chastain).

Alcune brevi riflessioni a partire da questo film del 2013:

– Bin Laden è morto nel 2011, la vendetta degli USA si è compiuta, ma la guerra continua tuttora in altre forme e in modo forse ancora più crudele e destabilizzante. Siamo in guerra, lo siamo sempre stati, lo saremo ancora a lungo se alla violenza si risponde con la violenza, come continuiamo a fare – tutti indistintamente;

– con questo film (e con altri simili), gli USA da una parte riconoscono di aver utilizzato metodi criminali per fronteggiare la crisi post-TwinTowers, ma contemporaneamente elaborano velocemente il lutto, giustificando immediatamente i mezzi utilizzati con il criticabile motivo della giustizia a qualsiasi costo (che io chiamo vendetta);

– il cinema si conferma così essere il luogo fondamentale in cui la cultura postmoderna – in assenza di feste dionisiache in cui convocare l’intera città a teatro – mette in scena la propria storia, i dubbi e le ossessioni più brucianti, i drammi e i percorsi di catarsi collettiva;

– amo immergermi in un film – come è successo in questo caso – senza saperne davvero nulla, soltanto il nome della Bigelow di cui avevo visto Strange Days molti anni fa. Scoprire d’un tratto che la narrazione si stava muovendo verso la storica uccisione di Bin Laden ha dato un senso alla serata casalinga.

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